Salame fresco ai ferri, con i raperonzoli, è un piatto della tradizione veneta che ho deciso di proporre in occasione dell’appuntamento per “L’Italia nel piatto”, il cui tema di questo mese è: maiale e salumi tipici (come sempre, in fondo al post tutte le proposte delle altre Regioni).
Nell’alimentazione contadina, il maiale, insieme al pollame, costituiva la principale fonte di proteine animali. Per poter garantire una migliore conservazione delle carni da lavorare, la macellazione del maiale avveniva nel periodo piu’ freddo dell’anno, tra dicembre e gennaio.
Mesi, in cui, ancora oggi, si concentrano le manifestazioni dedicate al maiale in tutta la Regione.
Sino al ‘900 “fare su el porseo” era un privilegio di pochi. La carne di maiale era destinata alle classi più benestanti, mentre i meno agiati ed i contadini dovevano accontentarsi dei fagioli, la cosiddetta “carne dei poveri”.
L’allevamento casalingo rappresentava un modo di vivere la “corte” di casa; tutti i membri della famiglia si dedicavano alla sua cura e crescita. I bambini e le donne erano incaricati alla sua nutrizione, compito non certo difficile, dato che il maiale si accontentava di gustare gli avanzi della corte.
Al capofamiglia, invece, spettava il compito importante di controllarne la grassezza, perché il suo peso e la rendita delle sue carni sarebbero state una sicura alternativa ai momenti di carestia dei mesi invernali.
Dopo mesi di cure, che andavano dalla primavera a dicembre, con gennaio arrivava l’ora di uccidere l’animale. Questo era il momento più atteso dell’anno, ed era considerato come un vero e proprio rituale.
Del maiale, come sappiamo, “non si butta via niente” e così, subito dopo la macellazione veniva “assaggiato” cuocendone le ‘animelle‘ (cervello e midollo spinale), le ‘rifilature‘, cioe’ i pezzetti di carne che si ottenevano lungo il taglio di sezionatura della bestia, e i sanguinacci (il sangue cotto).
Poi venivano lavati gli intestini dell’animale, la vescica veniva messa da parte per riempirla di lardo successivamente, venivano estratte le interiora, poi in successione venivano preparate le ossa, le “sisoe”, i cotechini, le salsicce e la soppressa.
La pelle, una volta tolto il lardo (unico condimento adoperato per tutto l’anno), serviva per ungere le seghe, le setole erano utilizzate per fabbricare pennelli, gli ossi venivano bolliti per fare brodo e sugo e il grasso del sottoventre era utilizzato per la profumata zazieka, mangiata a colazione con la polenta.
E il rito della morte si trasformava in una festa, un evento in cui si coinvolgevano amici e parenti.
Alla fine della giornata arrivava il momento della baldoria, in cui si gustavano in compagnia alcune parti del suino annaffiate da buon vino e si saldavano i legami tra parenti ed amici, per continuare a portare avanti la tradizione arcaica del “rito sacrificale”, quella tradizione che è storia, cultura popolare, patrimonio della nostra terra.
Il salame fresco, il “salado” rientra nell’antica tradizione culinaria del Veneto, sempre presente poi nella tavola del Carnevale.
Questo particolare insaccato è caratterizzato dall’essere meno stagionato e, quindi, più morbido degli altri, un po’ più grasso, ed è usato in cucina in maniera diversa rispetto agli altri salami: può essere quasi spalmato, condire minestre e sughi, oppure ai ferri.
Questo salame viene prodotto utilizzando la selezione migliore delle carne di maiale, cioè la polpa senza terminazioni nervose, alla quale, se risulta un po’ magra, viene aggiunto un po’ di lardo, affinché il prodotto risulti morbido. A questo si aggiunge il sale grosso tritato e la concia, poi pepe, cannella e chiodi di garofano.
Il tutto viene poi viene inserito nei budelli abbastanza piccoli (6-7 centimetri di diametro, per un peso di 700-800 grammi) punzecchiati con la “sponciròla” per far uscire il liquido e l’aria che impedirebbe alle componenti di aderire e viene legato solo alle estremità.
Si lasciavano asciugare in luoghi secchi, una volta era vicino al focolare, per poi riporli in ambienti umidi, freschi e bui per la conservazione. Si consumano freschi, da 3-4 giorni fino ad un mese, previa cottura; dopo di che si considerano “salami” e si gustano tagliati a fette, per circa 3-4 msi.
Il costume tradizionale di questo “salado” è quello con la cottura alla griglia servito con polenta abbrustolita o, come piace a me, con i raperonzoli (rampuzoli, “rampussoi” in dialetto), un’erba spontanea molto pregiata, anche questo un alimento della tradizione Berica, che si tramanda da secoli, particolarmente apprezzata in cucina per il gusto molto gradevole della sua radice, bianca e carnosa, e delle sue foglie.
Ho rivisto la ricetta originale, utilizzando l’aceto balsamico al posto del più grintoso aceto di vino.
Salame ai ferri e raperonzoli
Ingredienti
- 500 g di salame fresco
- 300 g di raperonzoli (rampussoi) di Villaga
- qb olio extravergine d'oliva
- qb aceto balsamico di Modena o aceto rosso
- qb perle di aceto balsamico tardizionale di Modena
- qb sale
- qb pepe
Istruzioni
- Affettate il salame in fette da mezzo centimetro e disponetele sulla griglia a fuoco vivo.
- Spruzzate con un goccio di aceto e ottenete una bella crosticina sui due lati.
- Disponete i raperonzoli sui singoli piatti e conditeli con l'olio, il sale e le perle di aceto balsamico (o qualche goccia).
- Adagiatevi sopra le fettine di salame scottato e servite subito.
- Potete servire anche delle fette di polenta abbrustolita.
Come ho anticipato all’inizio, questa è la mia proposta “maiale e salumi tipici” per “L’Italia nel piatto”. Di seguito quelle delle altre regioni.
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fonti:
www.ansa.it, A Gennaio festa del maiale in Veneto
www.euganemante. it Il rituale del maiale
www.venetoagricoltura.org Salato fresco del basso vicentino
http://digilander.libero.it/udinedintorni/tradizionivenete.htm#a
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